Il Pescara e il mercato al risparmio, simbolo di un campionato che non sa curarsiIl campionato di Serie A finisce qui, nel Mar Adriatico, piatto e bassissimo, davanti allo Stadio "Giovanni Cornacchia" (ostacolista pescarese degli anni '60). Il mare qui è profondo appena 9 punti, veramente una miseria. Nemmeno una vittoria "vera" per il Delfino Pescara 1936 - ex laboratorio di un calcio straordinario come quello di Galeone e Zeman e ora vittima sacrificale in rapida picchiata verso la serie B -, l'unica vittoria ottenuta è quella dei tre punti a tavolino per una svista burocratica del Sassuolo. Poi sei pareggi, il tracollo, l'umiliazione di una classifica disastrosa. Quei 9 punti, 6 reali, oltre a essere un record negativo - Sunderland e Crystal Palace ultimi in Premier ne hanno 19, Granada e Osasuna in Liga ne hanno 10 ma almeno una partita vera l'hanno vinta, il Lorient in Ligue 1 ne ha 21, anche il Darmstadt in Bundesliga ne ha 9 ma in 19 partite e non in 23 - sono l'espressione di un calcio assurdo. Ormai a due, se non tre, quattro, cinque velocità e che è un'impresa titanica tenere tutto insieme. In serie A abbiamo una Juveve che vince tutto, ma anche una melassa sempre più vischiosa ed estesa di squadre che non sono in grado non tanto di competere quanto di giocare almeno la stessa partita. Praticamente degli sparring partner.
IL CASO PESCARA E IL CALCIOMERCATO CREATIVO - Massimo Oddo, pescarese, ex terzino di Lazio e Milan, campione del mondo 2006, 38 anni, figlio di Francesco Oddo, allenatore degli anni 80, 90 e 2000 con un'esperienza lunghissima nel calcio di provincia, e che pertanto certe situazione le ha sempre respirate, dopo i 6 gol presi dalla Lazio riassume tutto in una frase chiave. "Ti ritrovi a giocare con formazioni nettamente più forti di te". Ecco, questo è il punto. Essere esasperatamente più deboli della maggior parte dei tuoi stessi concorrenti. Al di là degli errori tecnici o meno, il problema è che il Pescara oggi non è una squadra che sia almeno in grado di galleggiare in serie A. E' come buttare in alto mare uno che appena annaspa le braccia, o come organizzare un match di boxe tra Tyson e un peso piuma. Il Pescara, dicono, ha sbagliato tutto. Il presidente Sebastiani non è un imprenditore particolarmente ricco e danaroso, quanto piuttosto un operatore finanziario con certe capacità , che ha cercato di portare nel calcio i suoi metodi. E cercato di vivere e sopravvivere con le "plusvalenze" di calciomercato. Al Pescara di Sebastiani questo è già successo dopo l'anno trionfale di Zeman; adesso solo un miracolo di San Cetteo, protettore della città abruzzese, potrebbe salvarlo.
COMPRA E VENDI PER SOPRAVVIVERE - Il Pescara è rimasto dunque solo con la sua debolissima squadra, alcuni dicono addirittura meno forte di quella che ha vinto lo scorso anno il campionato di B. Non sempre ci sono Verratti, Immobile e Insigne da vendere, e in ogni caso non è detto che l'operazione vendi e poi compra riesca. E infatti anche quel Pescara lì retrocesse. Insomma se per caso toppi la campagna acquisti amen. Il calcio dei parametri zero e dei giocatori gratis o quasi (Aquilani, Gilardino, Muntari, Stendardo e così via) è una scommessa molto a rischio, quasi sempre perdente. L'aver investito 4 milioni sul riscatto di Verre, giocatore poi rivelatosi ininfluente, ha fatto saltare tutto, mandato a pallino la promozione del Pescara in A. Pensate cosa possano essere 4 milioni oggi per un grande club di A. Praticamente niente. Si torna dunque sempre al solito problema: non si può vivere di calciomercato. Soprattutto quando diventa un tipo di attività finanziaria collaterale che va al di là dei classici introiti tipo diritti tv, botteghino, merchandising etc. Un Monopoli del football di cui Walter Sabatini è diventato addirittura il guru osannatissimo: zero titoli in 5 anni di Roma, ma 100 e passa milioni mandati in cassa. Già perché ormai questo modo di fare è diventato regola comune, travisando il vero senso del calciomercato, che prima di tutto dovrebbe avere scopi tecnici e solo dopo finanziari. Altrimenti si rischia la classica "bolla" che esplode al primo colpo di spillo, oppure si disastrano le casse del club, oppure ancora - come nel caso del Pescara - dopo la promozione in serie A si riprecipita subito in serie B.
LA CONTESTAZIONE DEI TIFOSI - I tifosi del Pescara ovviamente contestano duramente tutto e tutti, dal presidente all'allenatore alla squadra. Hanno rovinato la cena di Natale presentandosi alla festa con lo striscione "Vergognatevi", hanno persino chiesto che il Pescara non giochi più in maglia biancoazzurra, perché i ragazzi di Oddo non sarebbero degni di portarla. Ma questo purtroppo è un panorama molto comune in serie A, l'influenza e l'ingerenza dei tifosi sono un ulteriore danno grave che toglie tranquillità e destabilizza addirittura i piccoli club presi nella morsa stritolante della serie A.
L'ASSURDO DELLA SERIE A A 20 SQUADRE - E' sempre più evidente che la serie A a 20 squadre ormai fatica a tenersi insieme, troppa disparità fra i grandi club e le altre. La frattura tra le ultime tre e il resto del campionato rischia di produrre un campionato senza obbiettivi. Si viene a creare una classe media di otto-dieci squadre che giocano mezzo campionato completamente disinteressate all'esito e al risultato. Il Genoa può permettersi a gennaio di vendere giocatori importanti come Rincon e Pavoletti e dare il via a un altro ciclo di calciomercato e business. Tanto non rischia nulla o quasi. Ma la riduzione della serie A almeno da 20 a 18 non è mai passata, ed è uno dei tanti punti fallimentari della gestione Tavecchio. Ma così rimarremo per chissà quanti altri anni. Un campionato che sta sempre peggio e non fa niente per curarsi. La Serie A infatti si sta sempre più allungando, gli scalini tra gruppi di squadre e altre diventano sempre più alti e insormontabili. Praticamente la Serie A sta perdendo la caratteristica genetica che l'ha sempre contraddistinta, e cioè di essere un posto dove ogni partita devi/dovevi giocartela alla morte se non vuoi rischiare. Ma quando mai.
IL MECCANISMO INCEPPATO TRA SERIE A E SERIE B - E' evidente anche che non funziona più il meccanismo di ricambio tra Serie A e Serie B, non tanto per il numero di promozioni e retrocessioni (3), quanto perché è evidente che la Serie B non sta producendo squadre in grado di stare in A. Lo scorso anno sono tornate subito in B Carpi e Frosinone, quest'anno si aspetta il verdetto per Crotone e Pescara. Non è un fatto questo che dà ragione alla teoria Lotito (il famoso "Mica mi vorrai mandare in serie A il Carpi e il Frosinone?"), quando un problema di qualità e robustezza delle neopromosse in serie A.
L'EFFETTO PARACADUTE: RETROCEDERE CONVIENE? - A invelenire ancor di più i problemi, il sospetto che ci si sia messo di mezzo anche il cosiddetto "paracadute". E cioè il fatto che le squadre che retrocedono in serie B prendono dei soldi per attutire i contraccolpi finanziari della retrocessione. 25 milioni per chi è stato 3 anni in serie A, 15 milioni per 2 anni, 10 milioni per un solo anno. Fino a un massimo di 60 milioni in totale.
Insomma per i maligni retrocedere potrebbe addirittura essere un affare e fare l'elastico tra la serie A e la B addirittura un obbiettivo. Il Pescara attuale è già a due promozioni e una retrocessione e mezza... In realtà non è proprio così, visto che rimanere in serie A rende assai di più per via dei diritti TV che per un club come il Pescara vangono circa 23 milioni di euro. E poi il meccanismo del "paracadute" non è unico. Esiste anche in altri campionati europei: l'Aston Villa retrocesso in Championship prenderà addirittura 87 milioni di sterline in tre anni. Il "paracadute" comunque rischia di essere un ulteriore fattore di frattura e squilibrio nel già delicato e instabile meccanismo salvezza.
COSA DICE IL PRESIDENTE DELLA B ABODI - Di questo abbiamo chiesto spiegazione direttamente al presidente della Lega di B, Andrea Abodi da poco riconfermato alla guida della sua Lega. Abodi non nasconde e anzi ammette il problema. "Non si può non ammettere che ci sia un problema di qualità e di relazioni tra Serie A e Serie B. Siamo di fronte a un dialogo solo di cortesia tra gentiluomini, ma dal punto di vista operativo sostanzialmente inesistente. Non è solo un problema di differenza di fatturati, è la mancanza di una visione comune. Serve una mutualità che non sia semplicemente un fattore di costo, ma un elemento essenziale che tenga a contatto le due categorie. Il paracadute così com'è non produce nulla di virtuoso. E se due squadre su tre promosse dalla B alla A tornano indietro vuol dire che il problema esiste. C'è troppa distanza, non è solo un problema di format dei due campionati. Il calcio è una piramide e deve capire che la base deve essere robusta. Il paracadute così come è oggi non funziona. Servono infrastruttore e solidità finanziaria, serve che la Federcalcio e la Lega sentano il problema e che non si vada avanti a decisioni unilaterali. E' una questione di soldi, certo ma io credo che i soldi debbano essere corrisposti solo per obbiettivi precisi: un sostegno alla gestione ovvio, ma anche per infrastrutture come stadi e centri di allenamento e settori giovanili. Insomma dobbiamo ricostruire tutti insieme la piramide del calcio". Ecco, così stanno le cose: la piramide del calcio ha una base sempre più stretta, mentre il vertice si sta sempre più alzando.
CONCLUSIONE - Serie A e Serie B faticano ormai a stare insieme e la serie A a sua volta si sta fratturando forse irrimediabilmente. Intanto il povero, umiliatissimo Pescara resta sempre più solo. Il mare di fronte allo stadio Cornacchia è profondo appena nove punti, ma fai un solo passo e affoghi.