Tifosi tristi, negativi, pallidi, con la testa piegata sui telefonini, che riempiono uno stadio che e' oramai lo scheletro di quel progetto futuristico che animo' le esistenze dei Baresi negli anni '90, ospitando i grandi del calcio, un Mondiale, una finale di Coppa Campioni....oggi un'astronave venuta dal futuro abbandonata nelle aride steppe della periferia.
Una squadra spenta, fatta di ragazzini gia' a fine carriera, a cui viene detto di portarsi vicino alla bandierina del calcio d'angolo quando sono in vantaggio di un goal, o di buttarsi a terra ed urlare anche quando non vengono nemmeno sfiorati. Ragazzini che iniziano presto con la scuola calcio, con insegnanti che ti sradicano da subito la fantasia e la creativita' di dosso, perche' con queste non si strappa il punticino per il rotto della cuffia. Colpa delle "Scuole Calcio" che non inventano piu' nulla, se non milizie di atletini tutti uguali, con tatuaggi che sono come dei codici a barre sulla loro pelle, come per dire...ora sono pronti per i supermercati.
Si sente spesso dire, "le motivazioni"...che spesso si associano a qualcosa di astratto. Le motivazioni ce l'ha colui che ambisce, colui che gioca per un Dio, colui a cui la vita toglie qualcosa in partenza e cresce incazzato, a sparare cannonate contro le saracinesche...
Sono stato compagno di classe di Cassano ai tempi della Carducci, ricordo ancora - quelle poche volte che compariva a scuola - la frustrazione di giocarci insieme o contro, perche' la palla non la passava MAI. Era la sua palla, non quella di tutti gli altri figli di papa' che ci correvano intorno. E la palla non gliela toglievi.
I giocatori che vedo oggi in campo, in questo Bari, la palla te la regalano, perche' scotta, perche' nessuno la vuole tra i piedi, e' solo un fastidio quella palla....perche' se sbagli la tua valutazione descresce, il tuo procuratore perde interesse, e te ne torni nell'inferno delle serie inferiori....dove ci si scanna senza avere nemmeno il proprio nome scritto sulla maglietta. E cosi' la tua partita diventa una vetrina, dove tu calciatore-manichino ti metti in posa, senza fare nulla di piu', nulla di meno, se non di sembrare a tuo agio su un rettangolo di gioco.
E infine Fabio Grosso, l'uomo della provvidenza, l'uomo dell'urlo che ha fatto impazzire milioni di Italiani: una incomprensibile maschera di vetro, nascosta dietro ad una telecamera, che ripete frasi fatte come un robot. Gli avranno detto che si fa cosi' l'allenatore.
Ma dove te l'hanno buttato il cuore? Le lacrime e l'adrenalina di quell'urlo...dove sono oggi?
Ho scritto troppo e in realta' non ho un preciso messaggio con questo intervento. Vorrei capire, ma non riesco, il perche' non si gioca piu' a calcio, il perche' una partita di calcio non sia piu' una festa, ma un funerale condito da mugugni e fischi. Per i soldi, gli interessi, ma di chi? Sicuramente di qualcuno a cui il calcio non interessa, o anzi che non sa che il calcio, dalle nostre parti, illumina la vita di molti.